giovedì 30 luglio 2009

Esopo e le formiche

Esopo è uno scrittore greco antico, vissuto nel VI secolo a.C., che compose circa 400 favole caratterizzate dalla forma di brevi aneddoti i cui protagonisti, animali personificati, ci trasmettono una morale.
Evidentemente colpito dal comportamento delle Messor, Esopo scrisse alcune favole con le formiche protagoniste. Il comportamento sociale di queste lo indussero ad immaginare che un tempo fossero uomini, trasformati in insetti per punizione divina. La metamorfosi uomo-formica e viceversa ricorre spesso nei miti e leggende, sottolineando l'esistenza di una convergenza tra le due diverse società.
Ecco i testi:


La formica
Un tempo, quella che oggi è la formica era un uomo che attendeva all’agricoltura e, non contento del frutto del proprio lavoro, guardava con invidia quello degli altri e continuava a rubare il raccolto dei vicini. Sdegnato della sua avidità, Zeus lo trasformò in quell’insetto che chiamiamo formica; ma esso, mutata natura, non mutò costumi, perché anche oggi gira per i campi, raccoglie il grano e l’orzo altrui e li mette in serbo per sé.
La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se è gravemente punito, non muta costumi.

La formica e la cicala
Era d'inverno, e le formiche stavano asciugando il loro grano, che si era bagnato. Ed ecco che una cicala affamata andò a chiedere loro del cibo. Ma le risposero le formiche: "Perché durante l'estate non hai fatto anche tu provviste?" Rispose la cicala: "Non ne avevo tempo, ma cantavo armoniosamente". E quelle, ridendole in faccia, le dissero: "Beh, se nel tempo estivo cantavi, d'inverno balla".
La favola mostra che, in qualsiasi faccenda, chi vuol evitare dolori e rischi non deve essere negligente.

La formica e lo scarabeo
Nella stagione estiva la formica s’aggirava per i campi, raccogliendo grano e orzo, e mettendolo in serbo come sua provvista per l’inverno. Lo scarabeo l’osservava e faceva gran meraviglie della sua eccezionale attività, perché essa s’affannava a lavorare proprio nella stagione in gli altri animali hanno tregua dalle loro fatiche e si danno alla bella vita. La formica non disse nulla, lì per lì; ma più tardi, quando sopraggiunse l’inverno, e la pioggia lavò via tutto lo sterco, lo scarabeo affamato andò da lei, scongiurandola di dargli un po’ da mangiare: “Oh scarabeo “, gli rispose quella, “il cibo non ti mancherebbe ora, se tu avessi lavorato allora, quando io m’affaccendavo e tu mi canzonavi”.
Così coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze.

La formica e la colomba
Una formica assetata era scesa in una fontana e, trascinata dalla corrente, stava per affogare. Se n’avvide una colomba e, strappato un ramoscello da un albero, lo gettò nell’acqua. La formica vi salì sopra e riuscì a salvarsi. Poco dopo, un uccellatore, con i suoi panioni pronti, si avanzò per prendere la colomba. La formica lo scorse e diede un morso al piede dell’uccellatore, che, nell’impeto del dolore, gettò via i panioni, facendo così fuggire immediatamente la colomba.
La favola mostra che bisogna ricambiare i benefattori.

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